Nel 2024, le Isole Canarie stanno vivendo un’emergenza migratoria senza precedenti. I numeri parlano chiaro: rispetto all’anno scorso, gli sbarchi sono aumentati del 126%, con oltre 22.000 migranti approdati solo nei primi mesi dell’anno. Questo incremento esponenziale è legato principalmente alle difficili condizioni economiche e politiche in Paesi come Senegal, Gambia e Mali, da cui proviene la maggior parte dei migranti. La rotta atlantica, pur essendo una delle più pericolose al mondo, è diventata una delle più trafficate, mettendo a rischio migliaia di vite.
La risposta delle autorità è stata rapida, ma non priva di difficoltà. Le Canarie, purtroppo, non sono attrezzate per gestire un afflusso così massiccio. Le strutture di accoglienza sono al collasso, e l’arcipelago ha dovuto allestire campi temporanei in diverse isole, tra cui Tenerife, Fuerteventura e Lanzarote, per tentare di ospitare i nuovi arrivati.
Il governo spagnolo, consapevole della gravità della situazione, ha intrapreso un approccio su più fronti. Il premier Pedro Sánchez ha avviato missioni diplomatiche in Africa occidentale, visitando Paesi come la Mauritania e il Senegal, per cercare soluzioni condivise con le autorità locali e rafforzare i controlli sulle partenze. Parallelamente, la Spagna sta facendo pressione sull’Unione Europea affinché fornisca più risorse e implementi un sistema di redistribuzione dei migranti tra i Paesi membri. L’obiettivo è evitare che la crisi gravi esclusivamente sulle Canarie e su altre regioni di confine【31†source】【33†source】.
L’impatto umanitario è drammatico. Le ONG presenti sul territorio hanno denunciato le condizioni precarie in cui vengono accolti i migranti, soprattutto i minori non accompagnati, che rappresentano una parte significativa di coloro che arrivano. Le risorse sanitarie e logistiche sono al limite, e la mancanza di una risposta strutturata a livello europeo sta complicando ulteriormente la gestione dell’emergenza.
Sebbene la Spagna stia facendo il possibile per arginare il fenomeno e garantire un’accoglienza dignitosa, c’è bisogno di un intervento più coordinato e a lungo termine, che coinvolga non solo i Paesi di origine, ma anche l’intera comunità internazionale.
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